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Il cioccolato, storia, fase di lavorazione, ricette

Cioccolato: la produzione

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Nelle sue terre di origini il cacao veniva chiamato “cibo degli Dei”, ed è per questo che Linneo gli diede il nome scientifico Theobroma cacao: cacao, cibo degli Dei.
Esistono tre varietà di piante di cacao di interesse commerciale. La varietà Forastero, originaria del bacino del Rio delle Amazzoni, domina il mercato mondiale ed è coltivata principalmente in Africa e in Brasile. La varietà Criollo, più pregiata e aromatica ma molto delicata, è molto rara e viene coltivata principalmente in Venezuela, con il suo famoso cioccolato Chuao, in Ecuador, a Papua nuova Guinea, a Sri Lanka, a Timor Est e a Java. Rappresenta circa il 5% della produzione mondiale. La terza varietà, il Trinitario, è un ibrido delle prime due. Il primo produttore mondiale di cacao è la Costa d’Avorio con il 38% della produzione, seguono il Ghana con il 21% e l’Indonesia con il 13%. Il Brasile, che una volta era un grande esportatore di cacao, dopo la distruzione delle sue piantagioni ad opera di un fungo ora ne produce solo il 4%, e viene utilizzato quasi tutto in loco.

La produzione

I frutti vengono raccolti e aperti per estrarre le fave, che vengono impilate e lasciate fermentare per qualche giorno. La fermentazione è un passaggio fondamentale per produrre quelle sostanze che successivamente, sottoposte alla tostatura, doneranno aroma al cioccolato. Durante la fermentazione si formano degli acidi e dell’etanolo. Questo attiva dei microorganismi che trasformano l’etanolo in acido acetico. La temperatura aumenta drasticamente, acidi e alcool penetrano nel seme, che non germina più e muore. La morte del seme scatena il rilascio di enzimi che decompongono le sue riserve di nutrimento formando zuccheri e acidi, precursori degli aromi del cioccolato. Si chiamano “precursori” perché in questo stadio non hanno assolutamente l’aroma che associamo al cacao, e in alcuni casi non hanno proprio nessun aroma. Si trasformeranno in molecole “gustose” solamente durante la fase di tostatura.
Dopo la fermentazione le fave vengono asciugate al sole e spedite alle industrie di trasformazione. Lì vengono torrefatte, ad una temperatura tra i 110 °C e i 140 °C. In questo processo la reazione di Maillard, produce moltissime sostanze aromatiche combinando le proteine contenute nel cacao con i carboidrati presenti. Successivamente le fave vengono schiacciate, il guscio eliminato e la massa rimanente sciolta in quello che viene chiamata “massa di cacao” o “liquore di cacao”, contenente circa il 55% di grassi. Il liquore di cacao non contiene alcool: si chiama così perché durante la lavorazione è allo stato liquido, a causa del calore generato dall’attrito dei rulli che sminuzzano le fave.
Questa fase è molto importante: le cellule vengono danneggiate e in parte distrutte, ed il grasso presente all’interno viene liberato. Questo ricopre parzialmente le particelle solide presenti (cellulosa, amidi e proteine) in modo da dare plasticità e fluidità alla massa di cacao. Nel far questo è anche aiutato dalla lecitina, un emulsionante, naturalmente presente nel cacao in piccole quantità. Più grasso viene liberato e più il liquore di cacao viene fluidificato.
La massa di cacao viene quindi pressata ad alte pressioni, e parte del burro di cacao viene separato dalla polvere di cacao, secca, che quindi contiene meno grasso del cacao di partenza: dal 10% al 20%. Il cacao in polvere subisce poi un processo di alcalinizzazione. Dopo l’eventuale aggiunta di zuccheri viene immesso sul mercato come cacao in polvere.
A questo punto, per ottenere i vari tipi di cioccolato (fondente, al latte, bianco,…) si mescolano in varie proporzioni il liquore di cacao, il burro di cacao, la polvere di cacao, zucchero e, nel caso del cioccolato al latte, del latte in polvere o condensato. Questa pasta, che diverrà una tavoletta di cioccolato, ha ancora un sapore un po’ “grezzo”, con punte acide, e di consistenza grossolana. Per affinarlo al meglio deve ancora subire il processo di concaggio.

Il concaggio

Originariamente questo processo serviva per ridurre le dimensioni delle particelle di cacao, fino a 20 micrometri (0.02 millimetri). Con le apparecchiature moderne il cacao ora arriva a questa fase già sufficientemente suddiviso, e il concaggio serve soprattutto a modificare il sapore e la consistenza. Nelle conche moderne, a temperature che possono arrivare a 80 °C, il cioccolato viene lavorato e areato, causando l’evaporazione degli eccessi di acido acetico e altre sostanze aspre e amare sviluppate durante la fermentazione e la tostatura.
Cioccolato in fase di concaggio
Verso la fine del concaggio viene solitamente aggiunta anche della lecitina, un emulsionante già presente in minima parte, per ottenere la consistenza desiderata. In questa fase infatti il burro di cacao, aiutato dalla lecitina, ricopre completamente tutte le particelle di cacao solide presenti e soprattutto lo zucchero. E’ solo dopo questa fase che il cioccolato assume quella consistenza e fluidità, in bocca, a cui siamo ormai abituati. Per ottenere la fluidità tipica del cioccolato fondente alla massa di cacao si aggiunge anche del burro di cacao addizionale: per riuscire a ricoprire tutte le particelle solide e lo zucchero. In un certo senso il burro di cacao fornisce la “lubrificazione” ai solidi presenti. L’uso della lecitina, come emulsionante, riduce la quantità di burro di cacao necessario per la completa lubrificazione dello zucchero. Il suo uso risale agli anni ’30 e tipicamente una parte di lecitina sostituisce 10 parti di grasso. E’ particolarmente importante per miscelare bene lo zucchero. Questo infatti non ha affinità per il grasso (avete mai provato a sciogliere dello zucchero in olio?). Le molecole di lecitina circondano i cristalli di zucchero e permettono al grasso di inglobare lo zucchero più facilmente.
L’ultimo stadio della lavorazione del cioccolato, la tempera, serve a dare al cioccolato l’aspetto e la consistenza finale che tutti conosciamo: lucido, rigido e quando si spezza lo fa in modo netto